fbpx

QUATTRO PIRATI NEL MAR DEI SARGASSI A CURA DI CLAUDIO MADDALONI

Quattro pirati nel mar dei sargassi

“Quattro pirati nel mar dei sargassi

hanno una zattera fatta di assi

vanno remando, dicono loro

alla ricerca di un grande tesoro

Però….

Uno è alto uno è basso uno è zoppo

ed il quarto ha una benda sull’occhio,

vanno remando, dicono loro

alla ricerca di un grande tesoro.”

 

  1. Di che si tratta?

Tratta di noi, tanto per cambiare. Tratta della nostra vita in questa terra, una navigazione difficile, impedita. I sargassi sono un’alga che cresce in particolare nel mare dei Caraibi, infestato tanto tempo fa dai pirati; alghe che rendevano difficile la navigazione per la loro tendenza a crescere in banchi che rallentavano o arrestavano il corso dei vascelli sospinti dal vento, rendendo ancora più vulnerabile la rotta insicura verso la propria meta. Ora, il mar dei sargassi assomiglia agli impedimenti nella vita, nella vita inconsapevole, nella selva oscura. Si tratta tuttavia questa volta di una difficoltà nell’acqua, diciamo nel mondo astrale. L’analogia del viaggio oltremondano con l’acqua viene dichiarata da Dante nell’inizio della seconda cantica.

“Per correr migliori acque alza le vele /

omai la navicella del mio ingegno /

che lascia dietro a sé mar sì crudele /

e canterò di quel secondo regno /

dove l’umano spirito si purga /

e di salire al ciel diventa degno…”

  Questo traslato nautico indica come il mondo delle anime purganti navighi verso la meta, attraversando un mezzo non troppo oscuro quale era la selva, ma non ancora libero da attrito e frizione, come l’aria del cielo e l’etere del paradiso. Ci sono ancora impedimenti, ma navigabili. Le acque sono migliori, in Purgatorio, del mar si crudele lasciato all’inferno. La canzoncina descrive il travaglio del popolo di Dio in cammino; un popolo di pirati. Infatti se è vero che i nostri poveri naviganti potrebbero essere aggrediti dai pirati approfittando delle loro difficoltà, è però anche vero che sono pirati anche loro. Di sicuro sappiamo che i pirati erano gente rozza, aggressiva, ladra ed assassina, sporca, emarginata, dannata. Uomini macchiati di nero, come la loro bandiera, che indicava il regno della morte. Si sta descrivendo la condizione umana normale, diciamo l’uomo macchiato dal “peccato originale”; con questo termine intendo macchiati fin dalla nascita da una limite al bene, da un oscuramento, da una macchia: il karma che ci limita. Qui il più pulito c’ha la rogna, dice un proverbio. Questi dannati vanno remando, non dormono; nella loro condizione di difficoltà e sofferenza, stanno cercando una soluzione: si sono messi in viaggio verso una meta, illusoria che sia, e ci danno dentro, questi diavoli, assetati d’oro, assatanati ed appassionati. Fanno sorridere; nella loro difficoltà sono degli entusiasti, dei disperati, degli uomini veri.  

  1. Che gente è questa

La canzone fa una classificazione, una campionatura di questa popolazione alla deriva. Dice: grosso modo, la gente si potrebbe dividere in tre grandi categorie: Prima categoria: gente alta. Alta di ingegno, di maturità, di spiritualità, gente che è più vicina al cielo; gente che rispetto a una forza che tira in su, che li richiama in alto, hanno detto di sì in qualche modo; fino a un certo punto tuttavia, perché non dimentichiamo la forza di gravità che impera sul mondo. Insomma, gente più alta. Seconda categoria: poi c’è invece la gente bassa. Ci sono quelli di basso livello; qualcuno aggiungerebbe con malignità : bassi e pure grassi, insomma comunque schiacciati giù, appesantiti. Non vedono molto lontano per la loro posizione. Questi sono all’altro estremo, fanno da contrappeso, da equilibrio agli alti di prima. E ci sono tutte le misure intermedie di tutto. Nel descrivere i due estremi, il testo suggerisce che la gente si dispone su un gamma infinita, tra alti e bassi, belli e brutti; come dire che c’è gente di tutti i tipi, che il mondo è bello perché è vario. Questa variazione rende bello il mondo. Non si può essere tutti uguali, proprio non si può, perché siamo tutti anime individuali che fanno scelte individuali, e quindi che si modificano in maniera unica e irripetibile; noi stessi non ripeteremmo proprio in maniera esattamente identica i medesimi errori. Terza categoria: e poi ci sono gli zoppi, quelli che camminano male, che procedono zoppicando, che le cose vanno un po’ si e un po’ no; impediti da fuori, fisicamente, o impediti da dentro, psicologicamente, spiritualmente. Qui manca qualcosa, è gente afflitta da una minorazione, sono dei minus habens. Sono malati insomma, nel corpo o nella mente o nell’animo; malati eppure vanno, eppure vanno ma non vanno per una via diritta. Il diavolo spesso è descritto come zoppo, come azzoppante e azzoppato; insomma, portatore dell’infermità che procura: quella di deviare dalla retta via. Ma quale è il fattore che ci fa deviare? Un giovane che vada per una via, potrebbe deviare dal proprio cammin diritto per aver visto una bella ragazza, per un desiderio di potere o danaro; si devia per il desiderio, desiderio che è karma, karma che è depositato nei chakra. Si devia perché c’è un condizionamento nella mente che la rende inferma in qualche modo. Esiste la malattia a sé, che sempre procede con noi, ognuno con la sua illusione, verso una sua meta che ciascuno a suo modo considera allettante. Tutti d’accordo e sulla stessa barca. Esiste poi secondo la canzoncina un quarto tipo di infermità, forse riassuntiva: c’è un tizio che ha una benda sull’occhio, insomma che ci vede un po’ si e un po’ no, che gli manca qualcosa nel vedere, nella coscienza; o che vede in un altro modo rispetto agli altri. Vederci meno, avere perso un occhio, chissà, forse in battaglia, vivendo male nel mondo, è in fondo la condizione che riassume tutti i limiti, le deviazioni, le minorazioni descritte. Manca un po’ di luce, ma al contempo un po’ di luce resta, per guardare avanti. Da un lato essere monocoli quindi corrisponde a una minorazione. Ma dall’altra, a ben pensare, o meglio a ben guardare, la condizione monoculare ha anche un aspetto superiore. Quando guardi, come si dice, con un occhio aperto e un occhio chiuso, è come se si guardasse meglio, senza dualità; il fattore dualistico rischia di darci due immagini e quindi di confonderci. La visione col terzo occhio, con un occhio singolo, in fondo è un guardare unico, un guardar bene, guardi e vedi. Ma questa visione superiore è nascosta in una visione inferiore. Nel mondo normale dove si vedono le cose sotto un duplice aspetto, infatti, sei più zoppo, sei di fondo costantemente immerso in una alterazione, e ogni cosa la vedi alterata, più alta o più bassa di come è in realtà. Un cieco di questo mondo potrebbe essere veggente dall’anima, certo, dal punto di vista spirituale; tuttavia, in questo mondo non ci vedrà certamente molto bene, e farebbe bene ad essere accompagnato da uno che ci vede bene; da un altro pirata forse? Scherzando potremmo dire che vengono in mente il gatto e la volpe: una aveva l’astuzia e l’altra aveva la vista, ma era però zoppa anche lei, guarda appunto, guarda caso.  

  1. Dove vanno e che fanno

Bene, descritta la ciurma, non troppo rassicurante, veniamo a sapere cosa fa questa gente così conciata. Tutti questi quattro pirati, questi quattro gatti, fanno quello che possono: vanno remando. Sono proprio convinti di remare, remano per la vita, per una meta comune: il tesoro, il grande tesoro.Si tratta di un cumulo immaginario di enormi, luccicanti bellezze effimere, a loro volta forse rubate, accumulate da altri pirati, cui loro potrebbero sottrarle. Così facendo, in questo mondo di ladri, essi poi vivranno nel timore che altri pirati gliele sottraggano: qui si vive rubandosi l’un l’altro. Si tratta inoltre di ricchezze che non raggiungeranno mai, ma che per loro sono motivazione sufficiente per remare nelle galere, per andare al di là del mare e dei monti, oltre il mar dei sargassi, per remare comunque. Infatti, dove stanno andando questi pirati? Dicono, loro, che questa della ricerca del tesoro è la loro motivazione; ma noi, che stiamo considerando tutto ciò dall’esterno, che osserviamo e consideriamo la scena, comprendiamo bene che forse se la vogliono raccontare così per darsi una giustificazione, per “farsene una ragione”, come si dice. Vanno remando, continuano a remare, remano a più non posso, ma in effetti non si sa perché remino; loro dicono che vanno alla ricerca di un grande tesoro, e giustificano così questo gran darsi da fare, la loro illusione. E si rema a ritmo sostenuto: il ritmo della canzoncina è un ritmo di marcia, un ritmo travolgente. Esprime un entusiasmo degno forse di miglior causa: perché, infatti, ci si potrebbe chiedere se poi vale la pena. Infatti, il tesoro forse è un’illusione; forse non sarà grande come se lo immaginano. La canzone sembra dire che sono sotto l’influsso di una illusione, di un incantesimo, che è la mente che gli fa dei brutti scherzi, che è la testa che non li aiuta. Suggerisce che sono un po’ fuori di testa, un po’ matti. Si tratta certo di un inganno di Maya: forse alla fine dell’arcobaleno non ci sarà nessuna pentola d’oro; l’arcobaleno continuerà a spostarsi. Si tratta infatti di tratta di roba dell’altro mondo: non dimentichiamo che siamo nel mar dei sargassi, siamo in una “storia”, che “c’era una volta in un lontano paese”. Sono matti perché cercano l’oro astrale nel mondo materiale. E’ roba da matti, è roba dell’anima, roba vera, roba seria: la felicità, il paradiso, l’oro. E gli alchimisti dicevano che l’oro che loro cercavano non era l’oro del volgo. In effetti ciò che i pirati cercano così affannandosi o non verrà mai ritrovato laddove lo stanno cercando; è un inganno di Maya, non è tutto oro ciò che luccica. Loro cercano la felicità. E tuttavia essi credono che quei quattro oggetti di metallo giallo valgano quanto la luce e la gioia; sono disposti a barattare l’oro vero, Aur , la luce, (che sciocchi!), con dei beni materiali, transitori, deludenti, insicuri.

  1. Tutti sulla stessa zattera

Mi sembra di una certa importanza soffermarci sulla imbarcazione. I pirati hanno una zattera fatta di assi. Nessun vascello speciale, roba grossa; bensì zattera, sostegno minimo, senza chiglia, senza vera protezione dalle temnpeste e dall’essere inghiottiti dall’immenso mare, dall’oceano di Atlante. Ed è evidente che non si può portare peso del mondo, di tutta questa gente, su una zatteruccia. Tuttavia, questo guscio di legno può sostenerti sul dorso ampio del mare, sull’immenso mare, sull’alto mare aperto; o almeno ci si può illudere. Hanno una zattera fatta di assi, ossia costruita, rimediata con quello che c’era; si sta a galla come si può. E se è vero che queste assi sono connesse con mezzi di fortuna, sono anche un po’ sconnesse tra di loro, è altrettanto vero che si resta a galla anche perché tuttavia esse sono anche abbastanza connesse da sorreggerli. Anzi, è la loro inter connessione che li fa rimanere a galla, che fa tutta la faccenda, che poi fa andare la barca. Infatti, sono tutti sulla stessa barca, pirati diversi riuniti insieme, assi diverse ma in fondo anche molto simili, tutte improbabilmente connesse insieme, e l’unione fa la forza. “Speriamo bene”, sembrano dire i pirati. Anzi, veramente, questi pirati non si curano di valutare la loro imbarcazione, la piccioletta barca. Non si sono affatto guardati allo specchio, per vedere su che barca stanno. Di certo stanno tutti, stiamo tutti, sulla stessa barca. Ma è una barca piuttosto scassata, che non ha direzione, che basta appena per non affogare, che non sembra un gran veicolo, è una piccioletta barca. Questa zattera fatta di assi suscita in noi un moto di simpatia, di compassione; ci possiamo riconoscere in questa disperata traversata attratti dall’illusione e sospinti dalla tempesta, impedita dai sargassi e in questa bella compagnia. Questa gente si difende dalla tormenta con un ombrelluccio bucato, è gente che non sanno dove andare . Sono cercatori d’oro, cercatori ma non trovatori: alla ricerca dell’anima, del paradiso, della felicità, ed eccoli in mezzo al mare, illusi nella selva oscura dai loro propri desideri, che guardano la vita nello specchio delle loro brame, che sono attratti dalla bellezza effimera del mondo qui. E sarà sempre così? Forse no, qualcuno cresce. Parliamo meglio di queste imbarcazioni su cui andiamo remando, con le quali ci adoperiamo di navigare.

  1. Il piccolo naviglio

Un’altra canzoncina sulle barche offre uno spiraglio di speranza. Forse si può gestire meglio la faccenda, forse si può navigare meglio, imparare a navigare. Si tratta di capirci qualcosa, di imparare; e poi di insegnare, (perché non puoi insegnare se non hai prima imparato, oppure devi essere nato imparato). Dunque, la nota canzone fa così:

“Cera una volta un piccolo naviglio,

che non sapeva , non sapeva navigar.”

La canzone ripete e sottolinea che proprio non sapeva navigare. Nel corso dello svolgimento della canzone, tuttavia, e proprio grazie alla ripetizione che stavamo sottolineando, il piccolo naviglio finisce per navigare. La ripetizione che consente questa trasformazione è un moto naturale, la perseveranza, la reiterazione di quello scorrere , dice la canzone, porta al cambiamento. Nello yoga, la ripetizione che viene impiegata per aiutare il processo di trasformazione, di morte rinascita, è la consapevolezza del respiro; questo alterno muoversi del prana (pranayama) nei canali laterali della colonna vertebrale astrale porta a una purificazione del mezzo, della coscienza individuale, della prima materia. In alcune versioni invece alla fine del ciclo preparatorio il piccolo naviglio non solo non sapeva ma anche non poteva navigare. Ancora, in alcune versioni dopo il percorso trasformativo ripetitivo esso finisce col naufragare. Non dobbiamo tuttavia vedere in questo naufragio una disgrazia; il naufragio, come la morte, sono il naturale epilogo di ogni forma di trasformazione radicale. Gesù ad esempio deve passare per la morte per la resurrezione. Il percorso deve portare alla morte per raggiungere l’altra vita, la vita nova. È proprio questo navigare, questa circolazione nel cosmo interiore, che si ottiene una trasformazione. In astrologia, la circolazione “del Sole e de le altre stelle” nello zodiaco interiore, nei canali Ida e Pingala del corpo sottile, che consente la vera navigazione tra le stelle fino al sommo dei cieli, alla realizzazione del Sé. I Taoisti insegnano anche che il pensiero si muove e il chi lo segue; l’energia segue il pensiero, come le ruote della macchina si spostano quando giri il volante. Nicholai Tesla scoprì che l’energia mossa in un circolo aumenta misteriosamente il suo potere. Così, spostando il chi attraverso l’Orbita Microcosmica s’incrementa il suo potere ad ogni ciclo. Nel manuale cinese di Yoga “Il segreto del fiore d’oro” di Richard Wilhelm è detto che “quando la luce circola, i poteri del corpo intero si predispongono davanti al suo trono, proprio come un santo Re gestisce un capitale, stabilisce le sue regole e riscuote i tributi. Dovete solo far circolare la luce, che è il più profondo e meraviglioso segreto. La luce è facile da spostare, e se si muove sufficientemente in un circolo, si cristallizza. È detto che sia questa la condizione per farti volare “silenziosamente in alto di mattina.” Una ripetizione secondo il modulo del sette: e dopo una, due, tre, quattro, cinque, sei , sette settimane, ossia sette volte sette, il piccolo naviglio navigò. Vediamo qui una trasparente allusione al percorso settimanale tra i pianeti, i chakra, le stelle di dentro. Così c’era una volta, in un lontano paese, in un altro mondo insomma, una piccola barca, che non sapeva proprio, non sapeva ancora attraversare il mare, giungere alla sua meta. E poi? E poi imparò, imparò a navigare. Già: ma come? Imparò ripetendo, era una ripetente, imparò sotto forma di ripetizione : dopo sette settimane, sette volte, anzi meglio dopo sette volte sette. E allora? E allora niente, fine del discorso, fine del viaggio, fine della canzone; ha imparato. Cantiamone un’altra.

  1. Si cresce

Le piccole donne crescono, le piccole barche crescono, e ci sono tempi e modi; il piccolo naviglio diviene un veicolo in grado di attraversare la grande acqua. Nella Divina Commedia si parla di questo processo evolutivo lungo tutta l’opera; ma vorremmo riprendere un passaggio dove si tratta di barche. Nel secondo canto del Paradiso, Dante spiega come il viaggio verso la salvezza preveda un veicolo sottile perfezionato e guidato alla perfezione, un discepolo pronto ed un maestro realizzato. Ecco l’avvio del secondo canto:

“Oh voi che siete in piccioletta barca /

desiderosi di ascoltar, seguiti /

dietro il mio legno che cantando varca //

tornate a riveder li vostri liti /

non vi mettete in pelago, ché, forse /

perdendo me rimarreste smarriti //

voi altri pochi che drizzaste il collo /

per tempo al pan degli angeli /

di cui sen vive qui ma non sen vien satollo //

metter potete ben per l’alto sale /

vostro navigio, servando mio solco /

dinanzi all’acqua che ritorna equale. “

  Dante descrive quindi tre tipi di imbarcazione:

  1. La piccioletta barca

Questa è troppo piccola per affrontare il mare. In questo caso, sarà meglio che stia nel porto sicuro, che rimanga ancorata ad una riva di appoggio, protetta da altro, da altri. Questa barca che è piccola per quanto riguarda la sua evoluzione, il suo grado di raggiungimento della luce: ha poca luce dentro, è ancora poco amica della luce. Per questa ragione potrebbe perdere facilmente la luce guida, non metterebbe in pratica i suoi insegnamenti. Questa barchetta non deve andare lontano finché non se lo può permettere, perché il grande mare è profondo, (come è profondo il mare!), e c’è il pericolo di perdersi in quell’infinito. La piccioletta barca non ha la perseveranza, la tenuta, la coerenza, la profondità per seguire la verità; è troppo all’oscuro, è una barca piccola, piccola di luce, che segue poco la luce, e che allora non potrebbe essere guidata e salvata dalla luce.

  1. Il Legno

La luce, la guida è il Maestro, che ti può salvare se vuoi. Viene descritto come una nave compiuta, grande: una nave maestra, appunto; un legno che varca ogni ostacolo: il “mio legno che cantando varca”. Virgilio accompagna il discepolo nella Commedia procedendo “come persona accorta,” esperta ed attenta, e “con lieto volto, ond’io mi confortai”. Quale immagine migliore del Maestro, che vive cantando e lietamente supera ogni ostacolo, non più impedito da nulla, come un “legno” che sa dove andare, che sa cosa e come fare, che sa fare strada, come si dice, a quelli che cercano la meta, meta che lui ben conosce. Un legno che impersonalmente ma anche con cura specifica di madre, guida gli altri. La guida-Virgilio procede nella notte come un portatore di luce, che non serve a sé stesso avendola egli già ritrovata, ma a coloro che seguono:

“Facesti come quei che va di notte /

che porta il lume dietro e se non giova /

ma fa dopo sé le persone dotte “.

  Un insegnante, insegnante la via, ecco come si impara. Per il sacrificio del maestro, l’impegno del discepolo può avere esito positivo. Un Maestro che rimane con coloro che hanno bisogno per orientarsi, un “Buddha di compassione”. Beatrice similmente varca lievemente ogni ostacolo, la forza di gravità terrestre, non viene impedita dalle fiamme infernali, è mossa e muove il processo senza sforzo dall’”Amor che move il Sole e le altre stelle”. Rivolgendosi a Virgilio (Inf, II° canto) dice:

Io son Beatrice che ti faccio andare,

vegno del loco ove tornar disio,

amor mi mosse, che mi fa parlare.

  1. Il navigio

Ed infine ci sono i navigi, barche più cresciutelle, che hanno da lungo tempo seguito una buona alimentazione, con il pan degli angeli. Il pane degli angeli è l’amore, è il prana, è la manna dal cielo. Il nutrimento celeste è un cibo miracoloso che gratuitamente spiove dai chakra superiori; dal Sole. Quindi barche dapprima picciolette, ma che poi si sono alimentate di luce ripetutamente, a lungo, che hanno iniziato da piccole, per tutta la vita. Nel mar dei sargassi ci sono un sacco di impedimenti, esterni e interni: la situazione non è delle migliori, come si dice. Così si procede a stento, ce n’è sempre una. In questa deplorevole condizione il navigante può e deve seguire gli “avvisi ai naviganti”; gli si suggerisce di seguire il maestro, la nave grande, il legno che cantando varca, e di rimanere molto vicino a lui, di non separarsi mai da lui. Ecco, solamente questi navigi, ormai cresciuti, possono ben metter per l’alto sale (il grande mare) la loro imbarcazione. Ma devono stare attenti, avere l’accortezza, di rimanere molto vicine alla nave guida, devono passare per dove è passato lui. Devono stare sulla scia della nave Maestra, che è tracciata e subito come scia sull’acqua svanisce, prima che l’acqua ritorni equale.

  1. La nave dei folli

Tuttavia potremmo dare anche una altra interpretazione al testo della canzone dei quattro pirati in questo mare strano, in questo altro mondo. I quattro pirati che remano attivamente, diversamente da chi non si è messo in cammino, potrebbero essere quei pochi che cercano davvero: non gli illusi, ma i delusi; quelli che hanno capito bene o male che bisogna darsi da fare per uscire da questo inferno, da questa situazione di imprigionamento, di oscurità. Quelli che si sono svegliati. E si possono svegliare uomini di ogni genere, ad ogni livello evolutivo, anche se il risultato di questo risveglio, del “mi ritrovai” di cui ci parla Dante, sarà differente a seconda di quanto il veicolo era purificato prima del naufragio della vecchia illusione. Quindi forse is parla di coloro che stanno cercando di arrivare all’isola che non c’è, come Peter Pan e i suoi tre amici. A questo punto quel “dicono loro” non andrebbe inteso nel senso che quello che loro dicono è frutto di illusione e mancanza di chiara visione, bensì, al contrario, sarebbe frutto di visione non condivisa e consueta, ma veritiera, da ascoltare. Ed il messaggio da intendere sarebbe allora questo:

c’è davvero da qualche parte, forse nel tempio non lontano, dentro di noi, un grande tesoro.

In questa interpretazione, se solamente loro dicono la verità, ecco che solo così si arriva al tesoro grande. Ed allora anche la zattera fatta di assi potrebbe bastare, e potrebbe sere intesa come qualsiasi struttura portante, che consenta di navigare, e dovrai purtuttavia remare forte, e con quei pochi altri, per la salvezza. Ma questa piccola nave è una nave di pazzi, la nave dei folli; o dei savi?

Dice un detto,

“solo i pazzi possono conoscere la verità”.

La nave dei folli percorre una rotta che non arriva da nessuna parte, per quanto riguarda la visione mondana, ma che arriva invece dove non ci sono più destinazioni, in Paradiso. Concludendo Dopo questa divagazione sulla rotta che porta a buon fine, guidata dal maestro, ritorniamo ai nostri pirati in mezzo al mare. Allora, i quattro pirati con la zattera fatta di assi son li, remano e non arrivano. La compassione, la simpatia per questa loro condizione e questo loro affannarsi nasce anche dal fatto di realizzare che il tempo è contro di loro. La situazione è seria, ma anche grave, come diceva un mio paziente. Questi poveracci si stancheranno, verranno tempi peggiori, verrà inesorabilmente la notte, l’inverno, la morte. Siamo di passaggio, non c’è scelta su questo; e tuttavia, se già sei su una zattera, con questa fiera compagnia, ti conviene remare come un dannato, sperando di giungere alla terra promessa, o al premio sperato. Abbiamo quindi una scelta, quella di cercare di raggiungere la meta oppure rinunciare, tocca starci come si dice, se siamo in ballo balliamo. L’oro che cerchiamo di raggiungere è l’oro interiore, la luce che si accenda, l’illuminazione, il risveglio. La scelta riguarda l’invito che la selva oscura, il mar dei sargassi stesso, lo stato di perdizione e caduta di partenza ti suggeriscono: scappa! Ed ecco che qualcuno rema e qualcuno no; la meta però li attira, ciascuno al suo livello: i bassi cercheranno basse mete, gli alti altre. Si può navigare come uno che non sa dove stia andando, un dormiente e sognante, oppure si può cercare il risveglio, la luce, perché bussiamo alle porte del paradiso, perché ci dicono una buona novella, che ci vengono a prendere. Ecco perché i pirati sono alcuni alti e alcuni bassi, e qualcuno ha anche dei debiti, delle minorazioni, è zoppo. Perché alla chiamata di salire, di elevarsi, qualcuno ha detto si, e qualcun altro ha detto invece no, o forse ha detto di si alla chiamata a scendere nell’oscurità? O forse la scelta discende, riflette la nostra doppia natura, di figli del cielo e di figli della terra? C’est la vie…..

Claudio Maddaloni

Claudio Maddaloni

Laureato in Medicina e Chirurgia a Pisa e specializzato in Psichiatria alla Cattolica di Roma, Claudio Maddaloni ha completato il training di formazione come analista junghiano presso il Centro Italiano di Psicologia Analitica di Roma. Svolge attività ambulatoriale privata come psichiatra e analista junghiano e dal 1984 si interessa di astrologia. Nella sua attività professionale integra la pratica clinica sui disturbi mentali con la struttura del corpo astrale e dello sviluppo delle sue energie, nell'ottica di dare al paziente strumenti maggiori e renderlo attivamente responsabile nelle proprie scelte. Ha pubblicato interessanti libri sulla realizzazoine del potenziale umano, fra cui il recente "Mi ritrovai - La Divina Commedia come Mappa del Risveglio e del Cammino" Edizioni Alpes italia

Altri articoli che potrebbero interessarti

Ti interessa questo corso?

Compila ii campi sottostanti, per saperne di più.

Corso: QUATTRO PIRATI NEL MAR DEI SARGASSI A CURA DI CLAUDIO MADDALONI