Il tema che voglio approfondire è strettamente connesso con l’incontro del primo dei peccati e con i peccatori infernali, giudicati, dannati ed inabissati da Minosse.
Queste considerazioni sono necessarie per meglio comprendere il prossimo capitolo, che riguarda la classificazione dei peccati in inferno.
Dal punto di vista psicologico, questo peccato di lussuria, nel senso del desiderio passionale e sessuale che in questo canto dell’inferno porta sofferenza e dannazione, si trasforma lungo la Commedia per divenire desiderio di amore altissimo con Beatrice, per Maria e per l’Assoluto, alla fine del poema.
Tutti i desideri, sia nel sesso che nella conoscenza e in ogni altra umana tendenza, sono espressioni di un unico desiderio ricongiuntivo, di essere uno con Dio, di essere Uno.
Essi, tuttavia si manifestano diversamente a seconda del livello di risveglio della coscienza individuale.
Questo tema del desiderio e della sua trasformazione è altresì un tema centralissimo nella clinica, nella terapia della sofferenza psichica, e quindi merita una riflessione più approfondita.
Vediamo meglio questo aspetto psicologico.
- Il desiderio in psicoanalisi
Fin dalle origini la psicoanalisi è stata la “scienza” del desiderio e di ciò che lo contrasta.
Per Freud,
“Il desiderio, è la percezione del soddisfacimento. Il desiderio nasce quindi in una situazione in cui manca qualcosa, che è stato sperimentato come gratificante”.
Gratificante per l’ego.
Per Lacan, il desiderio non è autoreferenziale, narcisistico, al contrario, è fortemente relazionale, tende sempre verso l’altro.
“Ecco che per il protagonista…. si accende il desiderio, vero, profondo, di ritrovare il contatto con l’altro. Per farlo perde la sua identità, la logica razionale ed entra in un “buco nero”, un non luogo, disorientante”.
Il desiderio quindi per Lacan non risiede in un luogo. Al contrario, risiede in un vuoto, riempie quel vuoto, ed è desiderio dell’altro, o più precisamente desiderio di riconoscimento da parte dell’altro.
In Jung il concetto ancora si modifica. Come termine “non irrompe quasi mai nella scena del discorso di Jung, desiderio non è una parola chiave”. È raro trovarlo nelle sue opere….
E tuttavia, “se, da un lato, è vero il fatto che questa parola non entra quasi mai nella scena del discorso, dall’altro però sembra che agisca sottotraccia, dietro le quinte; in particolare per ciò che concerne il processo di individuazione”.
Il Libro rosso di Jung rappresenta invece un’eccezione. “Il termine qui compare sotto diverse accezioni: “mancanza di desiderio per i beni esteriori (p. 17), desiderio implacato (p. 29), forza creativa del desiderio (p. 30), desiderio-padre divino (p. 61)”.
Nel cap. X “Insegnamento” Jung presenta una riflessione sul desiderio come via della vita:
“Il desiderio è però la via della vita. Se non ammetti di fronte a te stesso il tuo desiderio, allora non seguirai te stesso ma strade estranee che altri hanno tracciato per te.”
Jung sostiene che devi seguire te stesso ancHe all’inferno, dove ti troverai per lasciarti: questa è la via dell’individuazione, i tuoi desideri sono la tua prigione ed anche la scala per la tua liberazione, devi prenderli e invertirli e usarli, (vitriol)
- Etimologia
Ma vediamo cosa significa la parola desiderio.
Il termine desiderio deriva dalla composizione della particella privativa “de” con il termine latino sidus, sideris (plurale sidera), che significa stella. Dunque “desidera”, da cui “desiderio”, significherebbe, letteralmente, “condizione in cui sono assenti le stelle “. Ciò che è assente è la pienezza di coscienza e luce nelle stelle.
In questo senso possiamo leggere quel de in un altro modo: i desideri vengono dalle stelle, sono loro l’origine e la soluzione del desiderio.
Approfondiamo la natura del desiderio.
Proprio la sua etimologia ci aiuta: se leggessimo quel prefisso, “de”, come un moto da luogo, allora la parola desiderio potrebbe significare: ciò che proviene dalle stelle.
Ma quali stelle?
-Un primo significato, letterale, di “stelle” riguarda i corpi celesti materiali di cui si occupa l’astronomia.
-Da un punto di vista simbolico, le stelle rappresentano delle funzioni, delle qualità; ad esempio Venere rappresenta l’amore, la dea Venere della mitologia, una storia psicologica, affetti, drammi.
-Da un punto di vista anagogico, ossia in un significato spirituale più elevato, come già introdotto all’inizio di questo libro, le stelle sono i centri di coscienza, installati e costitutivi del corpo sottile umano. Da questo punto di vista le stelle sono i centri interiori, simbolicamente rappresentabili, e rappresentati da sempre, sotto forma di pianeti o chakra, ossia come stelle di dentro.
- Vasanas ed istinti
In occidente, quando si parla di istinti si parla di forze innate, connaturate non acquisite, che condizionano i comportamenti umani.
Gli istinti sono forze inconsce di base, definiti come “comportamento innato, tendenza intrinseca di un organismo ad eseguire o mettere in atto un particolare comportamento”.
In psicoanalisi l’istinto si distingue dalla pulsione in quanto questa mira alla soddisfazione dei propri bisogni (fame, sonno, sesso) basandosi su schemi appresi tramite interazione continua tra individuo ed ambiente e senza obiettivi particolari.
La definizione di istinto si estende anche ad azioni puramente psichiche e mentali.
Intesa come processo innato, persino la stessa attività cognitiva, il cui obiettivo è la formulazione di pensieri, piani e significati, può essere considerata come un istinto naturale.
Secondo Konrad Lorenz, l’istinto è come una grande forza all’interno dell’organismo che deve incanalarsi da qualche parte.
Nella Divina Commedia, si parla di istinto come di una forza transpersonale che agisce, si applica ad un individuo, che si muove perché è mosso da questa forza intelligente:
Tutte nature … si muovono a diversi porti /
Per lo gran mar de l’essere, e ciascuna/
Con istinto a lei dato che la porti. /
Questi ne porta il foco inver’ la luna; /
Questi ne’ cor mortali è permotore;
Il desiderio nella filosofia orientale è esaminato con grande attenzione.
L’intera legge del karma si bassa su questo; per spiegarla meglio, l’induismo ha proposto il termine di vasanas, letteralmente “desiderare”.
Il karma è memorizzato nei chakra tramite piccoli vortici, le Vritti, che rappresentano un impedimento all’energia di scorrere linearmente verso l’alto, che deviano l’energia in forme pensieri ed emozioni con cui siamo identificati dalle incarnazioni passate, tendenze che possono essere rinforzate o indebolite e corrette in questa specifica incarnazione.
Queste tendenze sono chiamate Vasanas.
Il significato di Vasana è: tendenze individuali su una specifica energia, ad esempio la sessualità, la aggressività; ma anche la spinta alla sopravvivenza, di autoaffermazione etc.
Si tratta di tendenze istintive che sono da una parte di tutti, ma che non in tutti si svolgono in maniera perfetta, pura, bensì spingono condizionate da una deviazione, da esperienze di incarnazioni passate secondo la tradizione induista, e che l’astrologia rileva come caratteristiche di quel nativo in base a come si possono esprimere e con quale consapevolezza.
Per Vasanas si deve quindi intendere una inclinazione sottile, una disposizione innata dell’animo, indole, il temperamento, la natura particolare di un individuo, un desiderio, una aspettativa. Si tratta sempre di un “tendere verso”, un “pensare a”.
Ecco alcuni termini che girano attorno a questo concetto:
vasana, residui karmici, inclinazioni inconsce, disposizione, energia dell’abitudine, pensiero, formazione dell’abitudine, pensiero dell’abitudine dormiente, tendenza potenziale, modello abituale, propensione abituale, tendenza abituale, impressione, impronta, inclinazione, tendenza intrinseca, tendenza inveterata, impressione karmica, impronta karmica, propensioni karmiche, impronte, predisposizioni, tracce karmiche, latenza, predisposizione latente, tendenza latente, impronta mentale, impronta psichica negativa, potenza, tendenza potenziale, potenzialità, predisposizione, propensione, sedimento di impressioni.
Alcune vasanas sono contaminazioni vantaggiose, altre dannose; sta alla coscienza individuale cosa tenere e cosa lasciare.
Se le vasanas sono tendenze memorizzate da incarnazioni precedenti, rimaste insoddisfatte esse spingono dall’inconscio in questa incarnazione per avere soddisfazione, e sono spinte dalla forza liberatrice di Kundalini.
Le vasanas sono inconsce, e divengono consce tramite la proiezione.
Ci apparirà come desiderabile quello che ancora non ha trovato pace, non è risolto, risciolto, non ha trovato la sua pace.
Nell’Advaita il termine vasana è usato nel senso delle tendenze subconsce o latenti nella propria natura.
- Desiderio come mancanza
Al risveglio della coscienza e col movimento della Kundalini nel sistema sottile, le vasanas vengono ad emergere nella coscienza.
-Le vasanas negative vengono chiamate vizi.
-Quando esse vengono scelte, quando gli si dice di si, esse divengono peccati.
-Quando invece ci si disdice da esse, e si applica al contrario una forza correttiva di tali tendenze peccaminose, tali forze correttive sono chiamate virtù, e rendono possibile la rettifica del movimento elicoidale della Kundalini attivata e non ancora ascendente, al punto da consentire di ritornare all’asse centrale.
La Kundalini quando si attiva ripulisce il sistema dei chakra dal karma memorizzato in essi, grazie al suo flusso.
Nelle fasi iniziali della purificazione, quando ancora c’è attaccamento ed identificazione alle vasanas, ecco che si genera abitualmente un contrasto con esse, che si manifestano sotto forma di resistenze inconsce.
L’identificazione si propone come. tendenze passate che mantengono il desiderio di deviare dalla legge di Dio per la legge dell’Io.
Di conseguenza, quando la forza di liberazione si attiva, ecco che ciò che l’ego percepisce, il vissuto egoico, sarà un senso di morte, di mancanza, di sofferenza, che esprime la sua propria resistenza.
L’ego è ciò che soffre e che fa soffrire.
Se in generale abbiamo sin qui parlato dell’ego come della localizzazione della coscienza universale a livello locale, ahankara, e di Lucifero come del fattore che fa deviare dalla luce, che si oppone alla tendenza verticale, potremmo riassumendo dire che Lucifero è la somma delle tendenza discendenti ed orizzontali in quella persona, secondo il suo karma.
Da qui il procedimento di Minosse di collocare le persone nel giro corrispondente al loro karma.
Ciascuna anima tuttavia ha vasanas piu e meno radicate, più o meno gravi quanto a lesione del principio unitario, e quindi questo penitenziario divino ha spazio per ogni tipo di devianza.
Per converso, ogni tipo di devianza deve essere visitata, sganciata la tendenza discendente e orizzontalizzante, invertita la spirale di Kundalini in cui si addormenta, in forma di me.
Ciascuna spira deve essere insomma resa cosciente, se vogliamo liberare quel livello, anzi tutti i livelli e volare in cielo.
Ciò che caratterizza tutte queste definizioni sono la percezione del senso doloroso di mancanza ed il desiderio di non sentire quella sensazione, quella tensione, chiamata desiderio.
Il desiderio massimo, in fondo, è il desiderio di non avere desideri, la liberazione.
Il desiderio è la percezione, la sensazione di un movimento, che si muove per colmare una distanza, è una forza che crede di dovere andare da qualche parte, di dovere ottenere qualcosa.
Finché ci sarà desiderio ci sarà movimento.
-All’inferno, corrisponde a ciascuna forza deviante egoica.
-In Purgatorio corrisponde ad una forza viziosa sottomessa alla sua correlata forza correttiva
-In Paradiso corrisponde alla spinta ascensionale, infine libera, si manifesta come traiettoria che riporta all’Uno, che non ha ancora completamente raggiunto.
Anziché senso di mancanza potremo dire desiderio di qualcosa che manca, ossia insistere sulla spinta a riempire quel vuoto, determinato dalla stessa identificazione egoica; un vuoto dovuto alla tendenza desiderante, al desiderio che si anima, devia dal centro, e si sposta fuori da sé, verso la soddisfazione egoica.
C’è sempre un senso di mancanza nel desiderio. Dobbiamo portare tuttavia l’attenzione sul soggetto che percepisce questa mancanza: l’individuo.
È l’individuo che percepisce questa spinta, il movimento impedito e sofferente, o libero.
Essere un individuo e percepire un senso di incompletezza, di non soddisfazione, sono la stessa cosa.
Potremmo dire anche che l’individuo, l’essere, nella forma identificata, separata dagli altri, manca di qualcosa di fondamentale, di assoluto, di globale, di complessivo.
Manca in effetti del senso di sé reale, del vero sé, proprio perché nasce dalla separazione e vive nella separazione.
4.Evoluzione del desiderio
C’è desiderio e desiderio.
All’inizio del percorso ci sono soprattutto i desideri dell’ego.
Gradualmente, col crescere della consapevolezza, sempre di più il desiderio animico di unione fa recedere gli altri desideri sullo sfondo.
Il primo movimento nella Commedia è l’emersione dalla selva oscura, dalla inconsceità.
Questo movimento, dovuto al risveglio (mi ritrovai), corrisponde al risveglio dell’energia Kundalini nel primo chakra, il chakra radice, Muladhara.
Clinicamente, questo si manifesta soggettivamente come uno scuotimento tremendo, come un terremoto, presente nella percezione diurna o nel sogno.
Questo corrisponde al trascendimento del desiderio della coscienza di dormire ancora, e l’ego è confrontato con il tema della morte: l’istinto di sopravvivenza del vecchio regime contro il movimento in avanti, in alto verso il secondo chakra, che ormai si è imposto col risveglio; il conflitto tra il desiderio della pura sopravvivenza, fisica (attaccamento alla vita materiale del corpo) e psichica (identità individuale).
Superato, trasceso questo livello, il desiderio che subito dopo si manifesta, a mano a mano che l’energia sale al secondo chakra e diviene qui cosciente, è il desiderio ricongiuntivo, che in realtà si riferisce all’Uno, ma che viene vissuto come riferito ad un altro come sé, alla nostra altra metà della mela. Si osserva quindi la forza del desiderio relativo, in forma di passione sessuale, che dovrà essere anch’essa trascesa.
Come per tutti i desideri divenuti coscienti, la questione si pone se la logica da seguire rispetto ad essi sia quella egoica, ancora prevalente, ed allora quel desiderio ci farà scendere verso l’abisso di Lucifero.
Oppure se si sceglierà di fare la volontà divina, non la propria volontà, seguendo Kundalini-Beatrice che sale, ed allora quel desiderio ci aiuterà a salire al cielo.
Il desiderio di unione di Francesca per Paolo tuttavia è ancora un desiderio di soddisfazione egoico, di unione e continuità, a livello del sesso e degli affetti personali.
I due amanti dannati sono del tutto identificati con questo desiderio, non sono disposti ad accettare una possibile distanza, neanche dopo la morte. Essi sono sotto l’influsso del polo separativo, l’ego-Lucifero: la logica di fondo è sia fatta la mia volontà, voglio quello che desidero.
La sofferenza dei due amanti così non deriva dal movimento ascensionale, ma dalla resistenza ad esso, per la identificazione con la forza separativa.
Beatrice, al contrario, è il polo ricongiuntivo nella dualità, la Kundalini che vuole risalire come forza attiva.
Questa forza è espansiva, porta con sé una volontà più grande, che vince e supera la contrazione egoica; è il desiderio di salvezza, di ritorno, di Yoga.
“Io son Beatrice, che ti faccio andare
vegno dal loco dove tornar disio
amor mi mosse, che mi fa parlare”.
Così è proprio Lei quella forza ricongiuntiva che interagisce con la forza separativa, e porta ad una trasformazione del desiderio. E’ il desiderio superiore, pieno di luce; la materia prima è piena di Grazia, è la Grazia salvifica, che muove tutto il processo, che scende e risale, circola, riunifica, ed è il motore di tutto, finché è necessario il movimento, prima della meta.
Beatrice desidera che Dante si salvi, è mossa dall’amore. Anche Dante tuttavia ama molto Beatrice, e lei risponde con amore all’amore; è mossa dalla compassione.
Questo amore è un amore che libera, è senza attaccamento, essendo rivolto a risanare l’anima e non a soddisfare l’ego.
Così il movimento nasce da Beatrice, che a sua volta è mossa da Lucia e da Maria; è espressione della Dea una e trina, del Femminile Universale, della grande Dea, che in tutti i tempi e culture rappresenta “Dio madre”.
Lei è la manifestazione dell’energia del Creatore. Nell’induismo è Shakti Kundalini, la sposa di Shiva, una con lui, lui in forma attiva.
L’azione celeste si manifesta ed esprime in terra attraverso la guida di Virgilio; egli desidera aiutare Dante perché fa proprio il desiderio di Beatrice, che a sua volta era espressione del desiderio di Maria e infine di Dio stesso di salvare Dante, l’uomo, la creazione.
La trasmutazione da un desiderio più di tipo egoico in un desiderio del Sé, deriva dalla evoluzione della coscienza, dal risveglio, che con il passare del tempo si integra e fiorisce e vince alla fine ogni impedimento. E Beatrice è il motore di questo risveglio, è il desiderio dell’Uno di ritornare a sé stesso.
- Mutamento del desiderio nelle tre cantiche
Vediamo questo progressivo estinguersi del desiderio nella Commedia.
Prima del risveglio non siamo consapevoli che siamo identificati con l’ego. Siamo nella selva oscura, siamo mossi senza consapevolezza: la coscienza dorme a sé stessa.
Ma dopo quel “mi ritrovai”, dopo il risveglio della coscienza, che accade fuori dal tempo, prima di ogni cosa, ecco che a livello di Dante, nel tempo e nello spazio, insomma nel mezzo, nella coscienza incarnata, inizia un processo graduale di integrazione, di evoluzione.
Virgilio fa da guida e lume dove la luce manca (Inferno), e sostiene il percorso dove la luce è ancora incerta (Purgatorio).
Il desiderio che nell’inizio del poema è afferente all’ego, alla separazione, è egocentrico, in tutti i cerchi infernali, dopo il risveglio inizia a mutare, ad essere contraddittorio ed infine a rivolgersi solamente al polo divino, a trascendere sempre di più la identificazione con l’ego.
-Il desiderio egocentrico iniziale viene dapprima reso cosciente, nell’inferno, dove si svolge il processo di disidentificazione (rinuncia a Satana).
-Successivamente (o contemporaneamente potremmo anche dire ) viene in Purgatorio corretto sempre di più da una nuova volontà, dalle virtù che rettificano quelle tendenze devianti in ciascuna cornice purgatoriale.
Così in entrambe le cantiche vediamo la spirale con cui il movimento si manifesta convergere, avvicinarsi sempre di più all’apice di cono di quel regno terrestre, la vediamo rettificarsi gradualmente.
-Una volta che il movimento risulta allineato all’asse centrale, lo vediamo ascendere diretto e diritto, senza piu distinguersi dalla forza ascendente amorosa di Beatrice.
a. Il sonno della coscienza finisce col risveglio, col “mi ritrovai”, che nel prologo viene espresso come improvvisa ed inconsapevole uscita dalla selva oscura. Il desiderio di dormire e non svegliarsi mai termina coll’uscita dalla selva oscura.
b. In Inferno, i desideri esprimono una tendenza volontaria a seguire le tendenze devianti che ci sono. Coincidono con i peccati, poiché nell’incoscienza di stare facendo il male lo si fa senza conflitto, non ci si rende conto, la coscienza dorme, non c’è una contro polarità dis-identificativa in azione.
Se errare è umano, è legato alle tendenze innate non tutte corrette, alle vasanas, con cui nasciamo, perseverare è diabolico, ossia è del diavolo, del principio di separazione, della volontà di opporsi egoicamente, di perseverare; qui si sceglie di non capire, non sentire, non allinearsi.
Al sorgere della tendenza energetica nei chakra del desiderio, segue di conseguenza l’azione concorde: siamo d’accordo, è ego sintonico quel desiderio.
In inferno il desiderio di rimanere uniti al mal volere finisce quando, chakra per chakra, velo per velo di sonno, di trascinamento, di incoscienza, negazioni della luce, vengono negate tutte quante quando si rinuncia a Satana, quando non si sceglie più il male, quando si dice sia fatta la tua e non la mia volontà, quando non si vuole più peccare.
Se perseverare era diabolico, non perseverare è angelico, è salvezza, è fine della sofferenza.
c. Il risveglio ci catapulta dapprima nell’Inferno, ma possiamo dire contemporaneamente anche in Purgatorio, previa scelta di stare dalla parte giusta, ci catapulta nello stesso cerchio-cornice, nello stesso vizio che anziché scelto viene avversato, corretto, con la virtù corrispondente.
Il desiderio qui non termina, termina il desiderio ego centrico incontrastato, è presente il desiderio egocentrico contrastato e sopravanzato per scelta dalla virtù corrispondente, Il desiderio che prevale quindi in Purgatorio è quello di giungere in cielo, di “venire quando che sia alle beate genti”, di soffrire sempre di meno a mano a mano che lo scoglio, il peso della terra, si riduce.
Qui la sofferenza è a termine, a tempo, finirà prima o poi, secondo la legge del contrappasso.
In Purgatorio la sofferenza dell’anima si riduce, si accetta il pentimento e la pena, si accetta di pagare il pegno, il pegno della liberazione, il costo del dis-identificarsi, un processo che è graduale come già in Inferno.
Il desiderio egoico di avere qualcosa per sé, tuttavia, si estingue del tutto solo alla fine della seconda cantica, termina nel Paradiso terrestre.
Se movimento ancora c’è a questo punto, è il movimento trainato da Beatrice, mentre Dante non si oppone più, dice solo di sì. Ora l’uomo nel paradiso terrestre è in pace, vive “senza memoria (del me) e senza desiderio (del me)”, come diceva Bion, ha trasceso, e la condizione del Paradiso è raggiunta in terra.
- La fine del desiderio
La pace per ogni tendenza, per ogni desiderio è il Sé, e tale pace non trova sollievo perche c’è di mezzo l’illusione, un fraintendimento: essa erroneamente allora viene ricercata nel me.
L’inconsceità fa si che l’illusione della soddisfazione del me venga cercata sempre, e delusa sempre, finche infine si scopre la verità:
è la fine del desiderio che porta la soddisfazione,
non è la soddisfazione che porta alla fine del desiderio.
La completa estinzione del desiderio non è stata ancora raggiunta; in Paradiso la forza trascinatrice di Beatrice desidera portare Dante, totalmente concorde con essa, identificato ormai solo con Lei, al sommo dei cieli.
“Questo (foco) nei cor mortali è permotore”
Esiste così ancora il desiderio dell’anima di raggiungere la liberazione dell’Anima, anziché avere completato la liberazione da ogni identificazione, anche dell’Anima stessa.
Poiché Anima naturaliter religiosa, ossia l’anima è per sua natura tendente a questa ricongiunzione, una volta che non ne sia impedita dalla illusione di cercare questo bene altrove che nell’Uno.
Questo ultimo desiderio di liberazione dell’anima si placa soltanto con la liberazione anche da questa ultima forma di individualità, ed il tormento dell’anima finisce solo alla fine del Paradiso.
Beatrice a quel punto scompare sullo sfondo, ed alla fine scompare anche il soggetto desiderante, Dante.
In Paradiso si giunge all’unione. Alla fine del Paradiso anche l’ultimo desiderio, dell’unione con Dio, l’annullamento totale, cessa nel fondersi stesso.
Qui il ricongiungimento completo, la gioia suprema coincide con l’esaurirsi dell’ultimo desiderio, del sommo desiderio, del maggiore e forse l’unico vero desiderio, lo yoga col divino, tornare a casa.
Nella ricongiunzione, nell’essere uno con Dio, non c’è più tropismo, direzione, distanza, mancanza, desiderio, non c’è più nessun ardore, passione, agonia: nella suprema unione, Dante dice:
“Et io, ch’al fine di tutti disii
M’appropinquava, sì com’io dovea,
L’ardor del desiderio in me finii.
Anche questa ultima modalità di movimento tuttavia termina nel settimo chakra, dove terminano le direzioni dello spazio, le coordinate del tempo, ed anche la identificazione con un soggetto personale distinto dalla coscienza divina.
Il desiderio finisce quando finisce Dante Alighieri.
Ed in questo modo termina il cammino di nostra vita, spinto dal desiderio del ritrovarsi.